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reportage/Riapertura CATTEDRALE di NOTO

                       

                              18 giugno 2007



NOTA SULL'INAUGURAZIONE  DELLA CATTEDRALE DI NOTO


Come è fatta la memoria, come sono fatti i pensieri non di una sola persona, ma di un popolo, di una comunità, di un paese, di gente che vive in un posto da generazioni e convive con altri arrivati da poco?

Come si trasmette la memoria, l'affetto, il senso di appartenere e di essere preso da in luogo che produce ad ogni passo, per ognuno, ricordi e storie diverse, anche se abitate dalle stesse immagini, dallo stesso orizzonte?

Come si condivide la memoria, regalandola a chi arriva, donandogli il miracolo di sentirsi a casa anche se resterà per poco tempo, anche se è venuto giusto per far scorta di emozioni, di luce, di passato, di sapori da condividere e far risorgere poi, in altri posti, con altre persone, tra altri sguardi?

Mi vengono in mente queste domande, mentre cammino al caldo di un giorno di sole tra le strade in salita, gli slarghi e le mura che disegnano d'ombra i confini di edifici antichi e solenni ed altri soltanto antichi, o vecchi, o fatti da poco ma in modo da sembrare anch'essi senza datazione e senza tempo. Sono qui per guadagnare tempo, per sconfiggere il tempo, per recuperare tempo perduto, per finire il restauro durato troppo a lungo di una Cattedrale, eppure mi sento avvolto dal tempo dilatato di una memoria non mia che mi prende e mi tiene e mi promette di non andarsene più. Sono turbato e in pace, senza che la fretta di finire se ne vada, senza che la sua presenza accompagnata dal desiderio di fare, concludere, chiudere sia umiliata dal tempo lento, solenne, quotidiano e secolare, che mi circonda.

Sono le pietre, i sassi che pavimentano le strade, i mattoni, le chiese e le forme disegnate dalla luce e dalle ombre sui muri delle case, che cambiano ad ogni ora del giorno senza che nulla cambi eppure cambiando tutto; è l'aria a volte immobile e sottile, mossa dal vento che carezza la collina e il paesaggio, a rendere possibile questo sentire stirato in direzioni contrarie, questo pensare con schemi di efficienza, di programmi precisi, di scadenze da rispettare, di impegni da mantenere e nello stesso momento respirare memoria, dono che supera ogni preoccupazione, prende la testa senza stravolgere il filo dei tuoi pensieri ma cambia di segno all'anima, lasciandola aprire, respirare, ritrovando sintonie perse chissà da quando.

Ma è solo in parte così, nessun presepe, per quanto magnifico sarebbe considerato accogliente dai figli dell'uomo se restasse deserto. Chi fa parlare le pietre, la luce, le strade e le case, le chiese e i paesaggi, l'aria ferma del mezzogiorno e il vento della sera è lo sguardo di quanti vi abitano, i volti delle persone che incontro e che sono di qui, che qui si muovono, vanno, pensano, sognano, vivono.

Nessun luogo racconta niente se non attraverso la vita di chi lo ha ereditato, lo abita da sempre o da poco, trasmette il suo respiro, il suo affanno, la sua risata alle cose, al paesaggio, alla storia, in un gioco senza fine di scambio tra vita e memoria. Anche il deserto sarebbe inguardabile, se non fosse attraversato, almeno nella mente, dalle sagome controsole di chi lo attraversa, delle carovane, di uomini e bestie chiamati a dar vita anche ai luoghi più inospitali e distanti dal nostro desiderio ormai abituato a giorni comodi e uguali.

Anche i luoghi che la storia ha abbandonato da tempo, cari spesso soltanto all'attenzione degli archeologi, si fanno guardare e ammirare soltanto grazie all'eco della vita che ancora vi pulsa, vita passata eppure ancora presente.

Luoghi, memoria, persone: un intreccio essenziale, necessario per una vita piena, che passa di generazione in generazione, che rende gli abitanti di un posto una comunità, perché fornisce ad ognuno uno scenario condiviso dove ambientare i propri giorni, dove far crescere i propri ricordi, dove costruire insieme una storia, da raccontare a chi vuole ascoltarla.

La Protezione Civile, nella sua storia recente, ha imparato questa lezione di rispetto e di comprensione di ciò che è chiamata a "proteggere": non solo la vita delle persone, ma anche la loro storia, i loro luoghi, la loro memoria, perchè sono un tutt'uno che non si può separare, come non si può separare la vita dal respiro, dall'acqua, dal cibo e dal non essere soli.

Per questo sono stato a Noto, e torno ora a festeggiare con gli abitanti di questa città la chiusura di una ferita nelle loro storia, nelle loro memoria, nella loro vita quotidiana. La Cattedrale che, restaurata e resa sicura contro il rischio del terremoto, si riapre ad accogliere la pietà, la devozione, la religiosità ed il senso di appartenenza della gente di Noto, che si riconosce nel condividere la venerazione del Santo Patrono, è un momento di festa e di vita civile per tutti e non solo per gli abitanti della città.

Chi si è impegnato alla ricostruzione, chi ha dedicato la sua arte, la sua sapienza, la sua esperienza e la passione del proprio lavoro per realizzare il desiderio di tutti di riavere il cuore di Noto presidiato dalla Chiesa Cattedrale non solo com'era e dov'era, ma addirittura come avrebbe dovuto essere fin dall'inizio, si è portato a casa un pezzetto di memoria, una scorta di ricordi dove quanto è stato fatto si mescola con i luoghi e gli sguardi della gente e dei colleghi, nella luce operosa del giorno e nelle luci del riposo della sera.

Chi verrà a visitare la Cattedrale, ritroverà un gioiello per lungo tempo sottratto alla gioia di tanti che cercano a Noto la sua antica cultura, lo splendore della sua epoca d'oro e la ritrovano viva, offerta, condivisa e conservata grazie all'amore per la propria terra della gente di qui.

Chi a Noto abita e lavora, vivendo la propria quotidianità tra le quinte di una città gelosa del suo passato e della propria bellezza, può ritrovare antichi percorsi, abitudini e tradizioni che il crollo ha offuscato ma non cancellato, gustando la Cattedrale rifatta per chi vi entra e per chi se la sente sicura presenza alle spalle se, seduto sugli scalini della gradinata, si perde nel gusto della conversazione che prende sapore dall'ambiente accogliente in cui avviene.

Per me e per la Protezione Civile torna questo senso di pacifica contraddizione: da un lato è un lavoro finito, nel migliore dei modi, dall'altro è un brano di memoria condivisa con la gente di questa città che si è intrecciata alla mia e vuole restare.

[...] anche a Noto si è realizzato un prodigio, quello di aver saputo ricostruire, lavorando materiali e cose, usando strumenti e tecniche, chiedendo collaborazione ad esperti e professionisti venuti da ogni parte, non soltanto un edificio resituito al suo splendore, ma il filo del dialogo e della memoria con la gente di Noto, regalando a loro, a noi stessi, all'Italia e al mondo la ripresa senza ferite dello scambio tra le cose, le forme, le parole e gli sguardi.

Guido Bertolaso                                                                                             

         



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